Category Archives: Canzoni

Maledetto sia Copernico!

Maledetto sia Copernico!

Maledetto sia Copernico!

(marzo 2006)

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Voce e chitarra: me stesso
Fisarmonica: Daniela Pelizzaro

Lam Mi
Un tempo avevamo punti fissi
Lam Mi
E tutto ci girava attorno
Lam Mi
Lo spazio non aveva abissi
Lam Mi
Immobile, al centro, il nostro mondo
Rem Sol7
Il punto fermo eravamo noi
Rem Sol7
Tutto il resto di conseguenza
Fa Mi
Il principio e i padroni sempre noi
Fa Mi
Ma poi, dannata conoscenza!
Lam Mi
Maledetto sia Copernico
Lam Fa Mi Lam
Maledetto sia Copernico!

Sapevamo dov’era il paradiso
E lo spazio era solo una risposta
Eravamo saldi in un punto preciso
E non su questa specie di giostra
Il regno di Dio fra le stelle fisse
Non ci aspettavamo che finisse
Non sappiamo mai nemmeno dove siamo
Da quando abbiam scoperto che giriamo
Maledetto sia Copernico
Maledetto sia Copernico!

Un tempo avevamo una terra immensa
Da lottare per conquistare
Un universo cui mostrare potenza
E giganti da massacrare
Guardaci ora ridotti a formiche
Sotto mille bandiere tutte nemiche
A uccidersi per un’aia da spartire
Giusto mezz’ora prima di morire
Maledetto sia Copernico
Maledetto sia Copernico!

Ora che siamo minuscoli e mobili
A cosa valgono le nostre pretese
I nostri amori e i sentimenti nobili
La nostra rabbia e le nostre contese?
Non so più perché continuiamo
Visto il pulviscolo che siamo
Non so già se sia distrazione
Orgoglio o disperazione.
Maledetto sia Copernico
Maledetto sia Copernico!

La guerra del ’15-’18

La guerra del ’15-’18

La guerra del ’15-‘18

Versione italiana di “La guerre du 14-18”, di Georges Brassens, 1961

Re
Da quando l’uomo fa la storia
E si ammazza pien di gioia
Re7
Se fra mille e cento guerre
Fossi tenuto ad indicare
Sol       La7      Re
Quella che preferisco
Sol       Do#7   Fa#m
Risponderei di botto
Re7   Sol        La7      Sim7    Si7
Colonnello io preferisco
Mim La7Re
Il ’15-‘18

Non voglio dire che non ami
Le campagne dei romani
Che mi fan girar le balle
Bouvines e Roncisvalle
Al contrario le riverisco
E in pagella darei otto
Ma colonnello io preferisco
Il ’15-‘18

Sì, lo so, la Reconquista
Non fu affatto pacifista
E con Nelson Bonaparte
Non giocò di certo a carte
Quelle gesta le conosco
Le rispetto e non le sfotto
Ma colonnello io preferisco
Il ’15-‘18

Da quella del quaranta
Non si poteva aver di più
Fu lunga e massacrante
E non ci sputo certo su
E quindi le riconosco
Il bene che ci ha fatto
Ma colonnello io preferisco
Il ’15-‘18

Non voglio poi parlare
Delle guerriglie americane
Guerre sante e resistenze
Di due sole settimane
Ciascuno può piacere
Avrà pure qualche lutto
Ma colonnello io preferisco Il ’15-‘18

Marte ha pronto un nuovo colpo
E prima o poi dal suo cannone
Sparerà una gran delizia
Che mi farà molta impressione
Nell’attesa io rimango
Per quella del 18
Colonnello io vorrei fare Il ’15-‘18

Lettera ad un architetto

Lettera ad un architetto

Lettera ad un architetto
(marzo 2006)

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Re                                          Sol
Insegnami ad avere la tua faccia tosta
Re                                           La
Ad avere sempre pronta la risposta
Re                                           Sol
Insegnami ad avere le donne ai tuoi piedi
Re                                           La
Insegnami un’unghia del Dio in cui credi
Sim                                         Fa#m
Insegnami a fare anche finta di niente
Sol                              La
Ad alzare la mano e dirmi assente
Sim                             Fa#m
Insegnami ad amare di meno
Sol                  Re
Ma meglio di così

Insegnami le pause e a contare le battute
A non rivolere le cose perdute
Insegnami i tempi per battere e parlare
E a parlare senza nemmeno sbagliare
Insegnami i momenti per passare lo straccio
E fare più dritti i segni che traccio
Insegnami a perdere di meno
Ma meglio di così

Insegnami la nuova teoria urbanistica
L’architettura e ogni cifra stilistica
Insegnami i dosaggi, i metri e gli spazi
Per misurare i giorni che passi
Insegnami la statica per non fare cadere
Le case, le balle, il morale, il bicchiere
Insegnami a capire di meno
Ma meglio di così

Insegnami la formula per gli sbalzi d’umore
E dopo le sbronze a non mostrare pallore
Insegnami a non scrivere canzoni e poesie
E non dire parole se non son le mie
Insegnami la santa dignità che possiedi
E dammi i tuoi occhi o dimmi che vedi
Insegnami a pensarci di meno
Ma meglio di così

Incubo

Incubo

Incubo
(agosto 2003)

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Sib                  Lam
Ieri sera ho fatto un incubo
Sib                  Lam
C’era un mucchio di gente
Sib                  Lam
Mi urlavano sei un grande
Sib                  Lam
Tirandomi addosso verdura
Sib                  Rem
Ed io scappavo lontano
Fa                    Sol
E loro mi correvano dietro
Do                      Mim    Do       Mim
E quando non avevo ormai più fiato
Fa                                     Mi                   Lam
Mi han detto: canta una canzone

Un gruppo di idealisti
Mi ha detto che ero materialista
Un gruppo di materialisti
Mi ha detto che ero idealista
Ed io gridavo: Cristo, no,
non sono moderato!
E quando piangevo mi han detto
Non sei un moderato: sei un coglione

Poi mi è apparso Dio
E mi ha detto che era tutto uno scherzo
Una penitenza che doveva pagare
Quando perse ai quattro cantoni
Ma deviò le pene su me
Che dopotutto sono suo figlio
Io gli ho chiesto: ti sembra giusto?
Lui mi ha chiesto: ti sembro giusto?

Riempire fogli su fogli
Era la mia occupazione
Ma restarci sopra ogni giorno
Non era né vita né sogno
Mi gridavano agli oreccho
Mi si torcevano addosso
Lasciatemi in pace, rivoglio la pace
Mi han detto: non ti piacerà

Mi han detto che l’uomo è nulla
Se non ha le sue emozioni
Io ero come un automa
E suonavo in un pianobar
Mi hanno licenziato
Perché non sapevo verniciare
Io ho chiesto: cosa c’entra?
E mi han detto: tu non c’entri comunque

Ho bussato con cortesia
Alla porta della mia bella
Lei mi ha aperto stupita
Non pensava di trovarmi lì
Così mi ha offerto l’acido
E l’ho bevuto con piacere
Mi ha guardato sciogliermi lì
E poi ha pulito la sedia

La defenestrazione

La defenestrazione

La defenestrazione

(aprile 2010)

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Capotasto al II tasto (Re maggiore)

Do                                                   Fa
I prim i è nài vià ale öndés e ‘n quart
Do                                                      Sol
‘na bela copia che ridìa a dré di òcc smòrt
Do                                                       Fa
i se ‘mbrasàa sö cuma se üno di dù
Sol                                      Do
el gh’és de cascà o de scapà
Fa                                             Do
me ó versì la porta e i ó lasài nà
Sol                                             Do
a tacà i quader en s’i mür de la su cà
Fa                                        Sol              Do
e a decider cusa fa de disnà pasandumà

I primi se ne sono andati alle undici e un quarto, una bella coppia che rideva dietro degli occhi smorti. Si abbracciavano come uno dei due dovesse cadere, o scappare; io ho aperto la porta e li ho lasciati andare ad appendere i quadri sui muri della loro casa e a decidere cosa fare per pranzo dopodomani.

Lam
E sóm restài lé
Sol
se som dacc üna cuntada
Fa                  Sol                Do
strambalàem ma siem en pé

E siamo rimasti lì, ci siamo dati una contata e barcollavamo, ma eravamo in piedi.

Pó vargün ater l’è nà vià pasà mesanòt
che i gh’ìa són, vulia pulsà, paria mort
i gh’ia tante fole e di dulùr endepartöt
gh’era restà en söl stomec el parsöt
me ó versì la porta e i ó lasài nà
chisà che robe fine i g’arà vì de fa dumà
tipo nà a sena cui parencc o purtà föra ‘l cà

Poi qualcun altro se n’è andato poco dopo mezzanotte, che avevano sonno, volevano riposare, parevano morti; facevano tante storie e avevano dolori dappertutto, gli era restato sullo stomaco il prosciutto. Io ho aperto la porta e li ho lasciati andare; chissà che robe interessanti avranno avuto da fare domani, tipo andare a cena coi parenti o portar fuori il cane.

La matina dopo, en pansa ‘n gran pucì
el dentifrico l’era mia bù de parà vià ‘l saùr de vì
se som catài le endurmèns e rebaltà
a netà quel che chi ater gh’ia lasà
óm lavà i bicier e óm tirà le stras
e pó gh’iem na tuaia de quele töte sbüse
e dala finestra óm batì şó le su brise

La mattina dopo, in pancia un gran pasticcio, il dentifricio non era capace di mandar via il sapore di vino, ci siamo trovati lì assonnati e ribaltati a pulire quello che gli altri avevano lasciato; abbiamo lavato i bicchieri, abbiamo tirato lo straccio e poi avevamo una tovaglia di quelle tutte lise e dalla finestra abbiamo scosso giù le loro briciole.

Le pecore

Le pecore

Le pecore

versione italiana di “Les Moutons”, di Jacques Brel, 1967

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Do Lam
Le pecore le odio
Sol Do
Caro il mio pastor
Do Lam
Che siano pura lana
Sol Do
O il mio bel maglion
Lam Mim
Che bruchino in collina
Fa Do
Oppure sull’asfalto
Lam Mim
Portate via dai cani
Fa Sol
O a colpi di bastone
Do Lam
Le pecore le odio
Sol Do
Caro il mio pastor

Le capre le odio
Caro il mio pastor
Che chinano la groppa
Da queste greggi in quelle
Dal gregge nella stalla
Dalla stalla all’ufficio
Preferisco il lupo
L’orso oppure il gufo
Le capre le odio
Caro il mio pastor

Gli agnelli io li odio
Caro il mio pastor
Che vanno via piegati
E dicono di sì
Si trovano tosati
E ridicono di sì
Poi vengon macellati
E ridicono di sì
Gli agnelli io li odio
Caro il mio pastor

Le greggi io le odio
Caro il mio pastor
Che non guardan mai oltre
Al pendio del colle
Che si perdono e s’annegano
Nell’acquesantiere
E se sale il vento
Ti mostrano il sedere
Le pecore le odio
Caro il mio pastor

Re Sim
I pastori io li odio
La Re
Caro il mio pastor
Re Sim
I pastori io li odio
La Re
Caro il mio pastor
Sim Fa#m
Piove piove piove
Sol Re
Attento a stare attento
Sim Fa#m
Attento a stare attento, sai
Sol La
Un giorno belerai
Re Sim
I pastori io li odio
La Re
Caro il mio pastor

Mi Do#m
Le pecore le odio
Si Mi
Caro il mio pastor
Mi Do#m
Che siano pura lana
Si Mi
O il mio bel maglion
Do#m Sol#m
Che bruchino in collina
La Mi
Oppure sull’asfalto
Do#m Sol#m
Portate via dai cani
La Si
O a colpi di bastone
Mi Do#m
Le pecore le odio
Si Mi
Caro il mio pastor

L’omm lümaga

L’omm lümaga

L’omm lümaga

(marzo 2008)

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Varda, pasa per strada l’omm lümaga
Ch’el se porta en sö la schena la su cà
Ghe ucòr gnint de pö de quel ch’el g’à
E la vita la g’à ‘n prese, e lü el le paga.

Guarda, passa per strada l’uomo lumaca, che si porta sulla schiena la sua casa, non gli occorre niente di più di quello che ha, e la vita ha un prezzo, e lui lo paga.

El verse mai la boca e el sera mai i occ
El suporta mia la vida ma el g’à pora de la mort
Ghe enteresa mia se aga el va via stort
El sta de per su cunt, e el casca mai en senocc

Non apre mai la bocca e non chiude mai gli occhi, non sopporta la vita ma ha paura della morte, e non gli interessa se cammina storto, sta da solo e non cade mai in ginocchio.

El pasa de banda al mond sensa mai fermàss
Sensa fàss veder tropp, sensa mai fiadà
El su nòmm el le sa nisü, nisü l’à mai ciamà
El dumanda ai occ di omm sul na brisa de pietà.

Passa di fianco al mondo senza mai fermarsi, senza farsi vedere troppo, senza mai fiatare, il suo nome non lo sa nessuno, nessuno l’ha mai chiamato, e domanda agli occhi degli uomini una briciola di pietà.