Alle medie ho fatto francese con il professor Campi
e ho sempre ascoltato le canzoni francesi
ma ho smesso di parlarlo. Così
fuori allenamento, a Nizza
non mi venivano pronte le cose da dire.
Le parole vengono comunque a mente
lente, tardi, per, a chi dovevo, riferire
e il francese peggiora le cose.
Allora, quando il paninaro
dopo venti minuti che aspettavo un
sandwich a la saucisse
mi accusò di aver saltato la fila
e mi negava il diritto di ingozzarmi
col suo panino da sept euros, s’il vous plait
avrei dovuto voltarmi e dire
a tutti: messieurs et mesdames,
quelqu’un de vous pense d’avoir
etè ici avant moi ? e sbattere in viso
dodici unisoni non a quell’homme de merde.
Invece, invece ho detto
ma va a da’ via ‘l cül e in
barba all’autostima –pauvre de moi–
mi sono beccato insulti
e sette euro di panino. Fu invece
più pronto il frasario d’emergenza
quando pestai i sandali ad una donna-balena
che quasi sgarbuzzava al suolo
-Madame, je suis désolé, pardonnez-moi!–
E lei, senza indulgenza e perdono:
–Con, tu me marche sur les pieds!– [che popolo di merda!]
e io: -alura vat a fa sborà
sbuldruna!-
Non mancò poi l’albergatore
di farci notare che
–Italiens, au Tour de France
le Cobra à été piqué, uh?-
con sorriso marcio di grandeur.
–C’est un problème…–
risposi incassando, ancora.
Ma cosa me lo diceva a fare
a me, dell’affaire Riccò?
so mia su pader
cosa pensava che mi interessasse?
so mia en mudenés, me.
Mio bisnonno Luigi usava
mudenés come insulto peggiore
-testone, arrogante, duro, esibizionista-.
se ved che l’ìa mai cunusì ‘n francès
peuple de merde.