La defenestrazione

La defenestrazione

La defenestrazione

(aprile 2010)

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Capotasto al II tasto (Re maggiore)

Do                                                   Fa
I prim i è nài vià ale öndés e ‘n quart
Do                                                      Sol
‘na bela copia che ridìa a dré di òcc smòrt
Do                                                       Fa
i se ‘mbrasàa sö cuma se üno di dù
Sol                                      Do
el gh’és de cascà o de scapà
Fa                                             Do
me ó versì la porta e i ó lasài nà
Sol                                             Do
a tacà i quader en s’i mür de la su cà
Fa                                        Sol              Do
e a decider cusa fa de disnà pasandumà

I primi se ne sono andati alle undici e un quarto, una bella coppia che rideva dietro degli occhi smorti. Si abbracciavano come uno dei due dovesse cadere, o scappare; io ho aperto la porta e li ho lasciati andare ad appendere i quadri sui muri della loro casa e a decidere cosa fare per pranzo dopodomani.

Lam
E sóm restài lé
Sol
se som dacc üna cuntada
Fa                  Sol                Do
strambalàem ma siem en pé

E siamo rimasti lì, ci siamo dati una contata e barcollavamo, ma eravamo in piedi.

Pó vargün ater l’è nà vià pasà mesanòt
che i gh’ìa són, vulia pulsà, paria mort
i gh’ia tante fole e di dulùr endepartöt
gh’era restà en söl stomec el parsöt
me ó versì la porta e i ó lasài nà
chisà che robe fine i g’arà vì de fa dumà
tipo nà a sena cui parencc o purtà föra ‘l cà

Poi qualcun altro se n’è andato poco dopo mezzanotte, che avevano sonno, volevano riposare, parevano morti; facevano tante storie e avevano dolori dappertutto, gli era restato sullo stomaco il prosciutto. Io ho aperto la porta e li ho lasciati andare; chissà che robe interessanti avranno avuto da fare domani, tipo andare a cena coi parenti o portar fuori il cane.

La matina dopo, en pansa ‘n gran pucì
el dentifrico l’era mia bù de parà vià ‘l saùr de vì
se som catài le endurmèns e rebaltà
a netà quel che chi ater gh’ia lasà
óm lavà i bicier e óm tirà le stras
e pó gh’iem na tuaia de quele töte sbüse
e dala finestra óm batì şó le su brise

La mattina dopo, in pancia un gran pasticcio, il dentifricio non era capace di mandar via il sapore di vino, ci siamo trovati lì assonnati e ribaltati a pulire quello che gli altri avevano lasciato; abbiamo lavato i bicchieri, abbiamo tirato lo straccio e poi avevamo una tovaglia di quelle tutte lise e dalla finestra abbiamo scosso giù le loro briciole.

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