De Bu – Concerti a Castiglione e Formigosa

De Bu – Concerti a Castiglione e Formigosa

questo weekend passatelo con noi!

Venerdì 4 Maggio
ore 20:00
De Bu #13
Piazza Ugo Dallò
Castiglione delle Stiviere

con Omar Ferlini e Lorenzo Bertolini

di’ che ci sei anche tu su Facebook: http://www.facebook.com/events/369026056472447/

all’interno della festa di chiusura della campagna elettorale del candidato sindaco di Castiglione Novellini. Prima, concerto della band rock-blues del prof. Casari. A seguire, comizio del candidato. Per tutta la serata sarà aperto uno stand gastronomico. Se venite, non sarete poi obbligati a votare Novellini.

Sabato 5 Maggio
ore 22:00
De Bu #14
Teatro Parrocchiale di Formigosa

con Omar Ferlini e Lorenzo Bertolini

in chiusura della cena sociale dell’Associazione Sportiva Formigosa. L’ingresso dopo cena è ad offerta libera.

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Per piasér, Siura Toni

Per piasér, Siura Toni

Per piasér, Siura Toni


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Please, Mrs. Henry è sul lato B del primo disco dei due che compongono The basement tapes, album di Bob Dylan registrato in uno scantinato con The Band nel 1967 e pubblicato nel 1975.

Michele Mari – Voce e Chitarra acustica
Lorenzo Bertolini – Chitarra elettrica, Basso e Batteria
Omar Ferlini – Organo

G’ó sa beì dò bire e só prunt de scapà
per piasér siura Toni, pödet mia purtàm a cà
só en bèl brao giöt ma ó magnà roba mia sana
parlà a trop tanta şènt e finì la damesana
per piasér siura Toni, siura Toni, fa bèl
per piasér siura Toni, siura Toni, fa bèl
só ché a cül büsù e g’ó pö gnanca ‘n franc

Só dré a caragnà nel curidùr, de che ‘n pó deénte mat
per piasér, siura Toni, pòrtem dal pupà
só nudà cuma ‘n pés, vulà cuma n’üsèl
sgagnà cuma na pita, ridulà cuma ‘n pursèl

Sta mia stam tròp a tac u te empienise i süpèi
stasera só malmustùs e só aga sènsa schèi
só vècc de mila agn ma só mia ‘n sturadùr
g’ó i òs lisér ma só bu d’eser bu

Só dré a grundà e la scragna la siga
se va avanti amó ’n pó sima l’acqua dala diga
varda, siura Toni, so bu sul de fa isé
varda endua vó e pó sópiem a dré

Per piacere, Signora Antonio

Ho già bevuto due birre e sono pronto per scappare, per piacere, Signora Antonio, non potresti portarmi a casa? Sono un ragazzo bello e bravo, ma ho mangiato roba malsana, parlato a troppa gente e finito la damigiana… per piacere, Signora Antonio, Signora Antonio, fa’ come si deve… sono qua in ginocchioni e non ho più nemmeno un euro.
Mi sto lamentando nel corridoio, tra un po’ divento matto, per piacere, Signora Antonio, portami dal papà, so nuotare come un pesce, volare come un uccello, mordere come un tacchino, rotolare come un maiale…
Ma non starmi tropo vicino o ti riempio gli zoccoli, stasera sono di cattivo umore e sono anche senza soldi, sono vecchio di mille anni ma non sono un rimbambito, ho le ossa leggere ma sono capace di essere buono
Sto grondando e la sedia cigola, se continua così tracima l’acqua dalla diga, guarda, Signora Antonio, so fare soltanto così: guarda dove vado e poi soffiami dietro.

Migrazioni

Migrazioni

Migrazioni

dal Voltapagina di Marzo 2012, pag. 5

Io c’ho un certo numero di difetti. Piccolissimi, però.

Ecco, un difetto che mi è stato attaccato dal fatto di stare a Volta è che se qualcuno mi rivolge la parola per strada, magari anche un forestiero, mi sento tenuto a dargli retta: mi vuole domandare qualcosa, magari una strada, un’indicazione, un posto dove si mangia bene. Mi han chiesto tante robe, dov’era l’officina Melchioretti, l’agriturismo Gardenali, dov’era la tomba di Alessandro Volta, dove si poteva fare una pausa pranzo, se c’era un fornaio, come si fa a andare al posto che han visto in televisione col ponte e i mulini sul Mincio, qualche volta ho anche parlato in inglese.

Quando sono andato a stare a Bologna per l’università le prime volte ci son cascato: ho dato retta a tutti quelli che mi fermavano per strada convinto che avessero bisogno di me per chiedermi dov’era Porta Sant’Isaia, un posto dove si mangia bene, casa di Guccini, cose così. Invece l’intento di quei vigliacchi che ti fermano per strada per chiederti delle robe in città è quasi sempre convincerti, dopo che ti hanno fatto credere di aver bisogno di te, che sei tu ad aver bisogno di loro. Mi han chiesto se leggo molti libri, se sono contrario all’oppressione dei popoli del terzo mondo stretti nella morsa del capitalismo, se sono contrario alle scritte sui muri, se avevo il telefonino e se ero favorevole al reinserimento nel mondo del lavoro degli ex-tossicodipendenti e degli ex-carcerati. Io non sospettavo e davo retta a tutti. Dopo i primi due mesi di università ero iscritto a Mondolibri, al circolo Marxista-Leninista, alla Casa del Fascio, a sette compagnie telefoniche diverse, avevo finanziato svariati progetti benefici e umanitari, rallegrato diverse associazioni di ex-sbandati, barboni, malati e garantito una vecchiaia tranquilla a decine di truffatori e di africani che chiedevano spiccioli per il caffè.

Urgeva una svolta o sarei rimasto senza un euro: da quel momento lì son diventato tignoso.

Ai comunisti dicevo che ero fascista, ai fascisti che ero comunista, ai ciellini dicevo che ero intelligente, agli ex-carcerati che il lavoro serviva a me e che era meglio che non uccidessero più nessuno, a Mondolibri che ero analfabeta e a quelli dei telefoni che avevo un telegrafo e mi trovavo benissimo così. Allo stesso tizio che mi aveva fermato tre volte per chiedermi se volevo iscrivermi a un corso di memoria, gli ho detto che gli avevo risposto di no già due volte e che quindi il suo corso non funzionava mica tanto bene.

Però, nonostante la svolta, non sono mai riuscito a impormi di resistere alle lusinghe degli africani che vendono braccialettini portafortuna e similia. Perché loro iniziano con i complimenti, e tra i miei difetti c’è che i complimenti mi piacciono moltissimo. Poi ti regalano una cosa che in teoria ti dovrebbero vendere, e un altro difetto che ho è che sono molto tirchio. Sempre, dopo il regalo, ti chiedono qualcosa in cambio, e lì sei fregato. O meglio, se ti chiedono dei soldi restituisci il falso regalo: se vuoi dei soldi non è un regalo, signor ragionier Africa, gli dico sempre. Ma se non sono dei soldi la mia tirchieria prevale e cedo a qualsiasi ricatto, do la mia parola incondizionatamente. E se c’è un altro difetto che ho è che mantengo sempre la parola data.

Una volta un nero ha avvicinato me e la Giulia, mi ha guardato, poi ha guardato la Giulia, poi ha riguardato me e mi ha detto: «Bei denti». In effetti la Giulia li ha tutti al loro posto. Si vede che per loro la scelta della donna si fa un po’ come per i cavalli: se son buoni i denti è buono anche il resto. E poi ha precisato: «Bel cromosoma». Giuro, ha detto così. Abbiamo riso tutti e tre. Poi mi ha fatto vedere i braccialetti e io gli ho detto che non li volevo, ma lui ha tirato fuori l’arma finale: «No, no, io regala te». Un affare senza precedenti, prendo due braccialetti, uno per me e uno per la Giulia e lo ringrazio molto sbavando per la vittoria della mia avidità. Ma lui incalza: «Però tu chiama tuo figlio come me». «Va bene, come ti chiami?». Babacar. Si chiamava Babacar, e si era abilmente assicurato che il suo nome si perpetuasse attraverso un ottimo cromosoma.

E più di recente un altro nero mi ha chiesto se avevo da accendere, gli ho detto di no, mi ha chiesto se ero salutista, gli ho detto di no. Ormai ci eravamo incrociati, lui era più avanti di me, si è voltato e mi ha gridato: «Tu hai faccia da buono, devi andare in Africa». A far cosa? «Africa ha bisogno di gente buona come te! In che posto vuoi andare di Africa?». Io volevo farla corta e ho detto che volevo andare in Zambia. Non so neanche dov’è, so che ha vinto la Coppa d’Africa e basta. «Io ti regalo questa statuina di tartaruga che porta fortuna da mettere sopra il letto se tu prometti di andare in Zambia». Io ho accettato, a quel punto lì: scusa, vuoi mettere una tartaruga di legno gratis?

Così dovrò andare a stare in Zambia.

Almeno Babacar si troverà bene.

Case, belle case

Case, belle case

Case, belle case
(settembre 2010)

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Voce, chitarra, banjo, mandolino, armonica: me medesimo
Basso: Lorenzo Bertolini

La Mi La La        Mi La        Re                    La
Case,       bele case,        sparnasade per el mond
Re               La                Re        Mi        La
case, bele case, a staga denter i è semper quéi
ghe n’è de quéle pustade ensima ala su bela culineta
ghe n’è de quéle cun le culòne e dele atre che par castèi
case verde, case celeste, del culùr de la merda d’óc
cun la sesa e la ringhiera e dele porte de set quintài.

Case, belle case, sparse per il mondo, case, belle case, a starci dentro son sempre quelli. Ce ne sono di quelle appollaiate in cima alla loro bella collinetta, ce ne sono di quelle con colonne e delle altre che sembrano castelli. Case verdi, case celesti, del colore della merda d’oca, con la siepe e la ringhiera e delle porte da sette quintali.

Denter le case gh’è dela şènt, bele persone lüstre cuma i spècc
i va ‘n gir drit cuma le culòne e raramente i deénta vècc.
I dacqua i fiùr, i va al mercà, quand i è casa del laurà
e pó da l’alt dele su culine i te salüda s’i te véd pasà.

Dentro le case c’è della gente, belle persone lustre come specchi, vanno in giro dritti come le colonne e raramente invecchiano. Annaffiano i fiori, vanno al mercato quando sono a casa dal lavoro e poi dall’altro delle loro colline ti salutano se ti vedono passare.

E chesti i g’à di fiöi che a me i me par mia tant a ségn
i ve sö drit cuma le culone e i g’à töi ‘n testa l’istéss diségn.
E i se marida e i fa ‘na casa pustada ensima a ‘na muntagnina
e i ghe met dele ringhiere e i pianta l’erba quela pö fina.

E questi qui hanno dei figli che a me non sembrano tanto a posto, vengono su dritti come colonne e hanno tutti in testa lo stesso disegno. E si sposano, e fanno una casa appollaiata in cima a una montagnina e poi ci mettono delle ringhiere e piantano l’erba più sottile.

E chesti che, che i par culòne, i g’à la testa ala su manéra
töta piena de ringhiere, de antifurti cun la sirena
perchè i g’à ‘na pòra mata de töt quél che i capìs mia
e apena i ved ‘na roba strana taca a sunà per parala via.

E questi qui che sembrano colonne hanno la testa fatta a modo loro, tutta piena di ringhiere, di antifurti con la sirena, perché hanno una paura matta di tutto quello che non capiscono, e appena vedono una roba strana iniziano a suonare per cacciarla via.

I ó vist amó nà şó de testa s’i vedìa pasà de sera
ü cula casa sensa culòne, sensa culina, sensa ringhiera
üno ‘n pó svergol, vesti ‘n pó mal, o trop tant ciàr o trop tant scür
che ‘l gh’ìa mia póra o chel ridìa o che ‘l parìa mia isé tant dür

Li ho visti ancora diventare matti se vedevano passare di sera uno con la casa senza colonne, senza collina, senza ringhiera, uno un po’ sbieco, vestito un po’ male, o troppo chiaro o troppo scuro, che non aveva paura o che rideva o che non sembrava così tonto.

Case, bele case, sparnasade per el mond
case, bele case, a staga denter i è semper quéi

versione vecchia
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Dentro un bicchiere

Dentro un bicchiere

Dentro un bicchiere

(novembre 2005)

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versione registrata un po’ in garage e un po’ in soffitta tra l’Agosto del 2008 e il Febbraio del 2012

Voce, chitarra, banjo, mandolino: me medesimo
Fisarmonica: Daniela Pelizzaro
Cucchiai e cembalo: Matteo Vagni
Tin whistle: Alberto Bertini
Grancassa: Lorenzo Bertolini
Coro delle voci alticce: Alberto Bertini, Matteo Vagni, Gian Marco Arvati e me medesimo.

 

Öna gamba de che, öna gamba de là
beóm en góss de vì per desmentegà

Una gamba di qua, una gamba di là, beviamo un goccio di vino per dimenticar

Enciudà a ‘ste scragne cuma en sö ‘na crùs
spetóm el pròsim gir o de senter ‘na qual vus
metóm mai föra la testa, per pòra de vardà
óm mai mis so l’ass se l’era de prima mà

Inchiodati a queste sedie come su una croce, aspettiamo il prossimo giro o di sentire una voce, non mettiamo mai fuori la testa per paura di guardare, non abbiamo mai messo giù l’asso se era di prima mano

Sóm semper che, cul sul e aga se piöf
el dé l’è semper quél, ma cul vestì nöf
sóm sentài ché d’invèren e d’istà
che cambia en de ‘na vita, l’è sul la nòsa età

Siamo sempre qui, col sole e anche se piove, il giorno è sempre quello, ma col vestito nuovo, siamo seduti qui d’inverno e d’estate, che cambia in una vita è solo la nostra età

Ghe l’óm cun el guèren, cul sindic e cul tèmp
óm sifulà a drè a le dóne quand fisc’iàa pü fòrt el vént
óm capì tròp tarde che el cül del bicièr
fa mia véder de luntà e el te pòrta mia endré

Ce l’abbiamo con il governo, col sindaco e col tempo, abbiamo fischiato dietro alle donne quando fischiava più forte il vento, abbiamo capito troppo tardi che il fondo del bicchiere non ti fa vedere più lontano e non ti porta indietro

Pöl aga dàs chi s’à ciapà per el cül
però le mia vera che le mai stà cuntent nisü
g’óm el fià che sa de vì, ma som amó bù respirà
g’óm le gambe strache, ma som amó bù de caminà
naróm en bras a la mort, va bè, ma cun na qual sorta de surìs
naróm en bras a la mort, va bè, ma cun na qual sorta de surìs

E può anche darsi che ci abbiano preso per il culo, però non è vero che non è mai stato contento nessuno: abbiamo il fiato che sa di vino ma sappiamo ancora respirare, abbiamo le gambe stanche ma sappiamo ancora camminare. Andremo in braccio alla morte, va bè, ma con una qualche sorta di sorriso.

vecchia versione dal vivo

De Bu – Concerto a Gazoldo

De Bu – Concerto a Gazoldo

Giovedì 16 Febbraio
ore 20:45
De Bu #12
presso la sede dell’Associazione Postumia
via Marconi 113, Gazoldo degli Ippoliti (MN)

con Omar Ferlini e Lorenzo Bertolini

di’ che ci sei su Facebook: https://www.facebook.com/events/362087513801586/

(Martedì 14 Febbraio, ore 21:15, parteciperò a Amare da Morire, rassegna di canzoni d’amore al Teatro Bibiena di Mantova)