Category Archives: Poesie

Siccome mi sono sempre dimostrato gentile e ospitale nei tuoi confronti
e tenendo conto che in vita mia non ho mai fatto nulla disinteressatamente
sorvolando pure sul fatto che mi attrai parecchio e che forse sto per iniziare ad amarti
considerando che mi ringrazi sempre ma forse ti sfugge il perché del mio atteggiarmi educatamente
ecco, non è certo mia intenzione chiederti di darmela
ma visti questi dati a buon diritto credo che tu dovresti
Concedermela.

[2004]

Bologna città di bici buganville
rampicanti alle ringhiere
intorno alla stazione.
Io qui
ammiro la ferraglia impiccata ad ogni palo
con sincera emozione.
Io qui, Bologna
coi miei tempi di campagna
ogni giorno mi stupisco
delle vostre abitudini.
Io spiaggia ad ogni nuova onda del mare
aspetto il verde
per attraversare.
[2004]

The handkerchief of the Lord

The handkerchief of the Lord

THE HANDKERCHIEF OF THE LORD

Eravamo andati a Firenze io Alberto e il Baio.
Preso l’Eurostar alla stazione {oggi l’hanno soppresso},
arriviamo alle dieci e facciamo colazione non mi ricordo dove.
Pioveva che Dio la mandava.
ci siamo rifugiati in una chiesa e poi ad una mostra
-ho ancora il biglietto incastrato nella cornice di una stampa
di Hugo Pratt che ritrae l’Oceania, tra quello
del concerto di Bob Dylan e un angelo del Parmigianino
[se non sbaglio]
della rocca di Fontanellato (questo sono sicuro)-
La visita a Firenze non è diversa da quella che avete fatto voi
a meno che non siate di Firenze o non siate mai stati a Firenze.
In più solo qualche nota di colore che tre amici a zonzo
nell’assolato agosto dell’ultimo anno palindromo
hanno fissato nella mente tanto che basta un accenno per ridere
(parlo ad esempio del Baio che litiga con il guardiano
delle cappelle medicee o le foto di noi nelle pose plastiche
delle statue di piazza della Signoria scattateci da un divertito turista anglofono).
L’Arno non straripò, i giardini di Boboli non ebbero un aspetto diverso
da quello del giorno dopo. Le chiese, tutte normali.
Al ritorno in treno incontrammo nientemeno che
Serafino! Serafino Massoni, il preside del nostro liceo
-mio e di Alberto, veramente, il Baio faceva la scuola privata-.
Stava tornando da Roma e ci regalò le pubblicità
degli ultimi libri che aveva dato alle stampe
[Le rose del Vaticano, La notte delle Aquile, Storia dell’editoria
non ne ho mai letto nemmeno uno].
Allora non sapevo che, con The Sinking of the Rueben James (Woody Guthrie)
che avevo appena ascoltato
[what was their names, tell me….]
nelle orecchie
avrei letto le poesie di Whitman
nella sala d’attesa
della stazione degli autobus di Mantova
mentre un grassa negra mi guardava strano
e pensavo di essere in Virginia
solo che il vecchio con una testa di drago
scolpita sul bastone chiese alla bigliettaia:
-La me sculte, quand’è che la part la curiera par Sarìda?-
Una tardiva nevicata addolciva l’inizio di Marzo;
erano passati due anni e mezzo dall’ultima volta che ero stato a Firenze.

[2005]

Grimpeur

Grimpeur

GRIMPEUR

Si alza sui pedali e va e attacca sul pendio
appena inizia: ha una maglia arancione
e pure il volto lo sarebbe
se il destino non l’avesse
fatto nascere nel Messico.
E su, la salita è appena iniziata, è un Gran Premio di prima categoria
ce n’è da arrampicare.
Io sono sul divano del salotto buono e mi reggo ai braccioli.
e quando con un distacco siderale dal gruppo scollina
e si butta in discesa addentando un panino
per resistere agli ultimi chilometri
io credo che allora c’è un modo per staccarsi dal gruppo
bisogna attaccare appena la pendenza sale
non importa di quanto né quando.

Il Messicano che attaccava non vinse il Giro perché a cronometro perdeva ore.
a partire già da soli non c’è gusto.
Lo ripresero l’anno dopo quando era l’ombra di se stesso
e in salita si staccava dal gruppo, ma dal fondo.
Non si rivide più un attacco di Perez Cuapio
da farmi attaccare ai braccioli e inforcare la mia bici rossa
per vedere se solo sui sa staccarsi.

Davide, lo vedo in difficoltà: pensi che si riaccoderà al gruppo? Ma vedi, Auro, quando uno si stacca subito vuol dire che oggi ha qualcosa che non va. Forse è in crisi di fame… non penso che li riprenderà anche perché davanti tirano forte, guarda, vanno su anche con il diciotto, diciannove. Se si danno il cambio, è spacciato.

Vi sto ancora inseguendo, fuggitivi:
l’erta è lunga e la pendenza non ammette recuperi,
guai se c’è un tornante.
Non so quant’è la soglia dei miei battiti
il numero limite dopo il quale si chiude
non so quanto ossigeno portano i miei polmoni
e quanti litri inspirerò ancora prima di soffocare.
Ma quel poco che ho ancora nelle gambe e nella testa
mi dà la certezza che vi mangerò ogni secondo
chilometro per chilometro
anche se il pubblico sarà sciamato verso casa
e nessuno mi verserà acqua in testa o mi spingerà
-lo so, ho preso tutto il distacco nelle tappe facili:
mi rilassavo, in mezzo al plotone quasi senza pedalare,
e chi tirava si sfiancava per nulla, dicevo
il Giro si decide nei tapponi.
Così arrivai per ultimo all’inizio del difficile
e i primi metri mi piantai-
ma sto arrivando a succhiarvi le ruote
policromi omini sicuri della vostra
frequenza cardiaca e capienza polmonare.
[2005]

Tragitti Usati

Tragitti Usati

Tragitti usati è una piccola raccolta di poesie che parlano distrattamente del mio paesastro.

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c’è anche uno che ha scritto cosa ne pensava:

“Realistica-naturalistica la scrittura in queste poesie; intimamente commuove. Sincere atmosfere di viaggio essenziali ma irripetibili, piccole romanze esistenziali.
Aspettavano le pietre del paese la scrittura di queste emozioni in versi liberi. E proprio Volta è l’emblematico nome del borgo cui sono dedicate: un nome nato e cresciuto su quei posti; come a ricordare a chi l’ha vissuto e conosciuto o a chi di sfuggita l’ha incontrato e se n’è andato troppo presto che quelle pietre formeranno la sua memoria, il dna dell’anima senza mai dimenticare.
Quella di M. M. è una scrittura che non dimentica (che sa “voltarsi”, girarsi indietro), che fa tesoro e investe nel futuro della sua esperienza; potrà sembrare ingenuo e sentimentale invece è capace di rivalutare i fondi del liquore della vita così da raccontarsi in modo sincero ad ognuno dopo averlo fatto con se stesso.”
Omar Ferlini

Timid

Timid

TIMID

Mi concedo una poesia in un dialetto diverso dal mio, in modenese, corretta e standardizzata secondo la variante di Fiorano. Mi astengo dal recitarla, per non offendere i modenesi.

Mè a saun semper stè timid con al dann
e enca un po’ impacè.
A stag lè, a paciùg, a babel,
mo an cumbìn gninta.
Parchè, magari, seinsa fèr apòsta
o par fèr al paiàs, am scapa dèt
dal robi sbaièdi, che van brisa bèin
e lia la sa rabèss, dòp la m pèrla piò
la m vìn piò a tac, e me am vergàgn.
Acsè, a i éren lè, che l’era l’ultem ed l’an
‘na festa mola, con dal vein cativ, acqua mèrsa
dla géint, insamma, pìn ad rompiquaiòn
mo la gh i éra enca lia, e alaura me aspiteva
al momeint giòst per tachèr a scàrrer
che chissà, magari stavolta andiamo meglio…
E alaura po l’è rivèda mesanot
stapa ‘l Cinzano, brèndisi, basèin, auguri,
lia a l’era fora ca fumèva da per lia
totta infrugnèda in un giactòn blò.
Me a i ò purtè un bicièr ed vein
aiàmm fat al cin-cin con al bicièr ed plastica
po a i ò dè la men e a i ò dètt:
«Speràmm che st’an ca viàn
Sia mei dl’ultum».
La fa: «Speràmm».

A m sun vultè, a i o avèrt la porta
e ‘n de cal mumeint lè
-ma a i era tropp ad luntan, oramai-
a m’è gnù a màint
ca n gh’i aviva brisa dè al basein.
Orca, a m dispièss, ma sa vòut fereg?
Oramai l’è andèda, adès a n ò piò la scusa
di auguri, dal bon an, dla situasiòn.

Mo insàmma, l’è po la stàssa roba,
sarà per st’eltr’an, me a n g’o pressia.

Io sono sempre stato timido con le donne/e anche un po’ impacciato./Sto lì, paciugo, balbetto,/ma non combino niente./Perchè, magari, senza fare apposta/o per fare il pagliaccio, mi scappano dette/delle robe sbagliate, che non vanno bene/e lei si arrabbia, poi non mi parla più/non mi viene più vicino, e io mi vergogno./Così, eravamo lì, che era l’ultimo dell’anno/una festa molle, con del vino cattivo, acqua marcia/della gente, insomma, pieno di rompicoglioni/ma c’era anche lei, e allora io aspettavo/il momento giusto per iniziare a parlarle/che chissà, magari questa volta andiamo meglio…/e allora poi è arrivata mezzanotte/stappa il Cinzano, brindisi, bacino, auguri/lei era fuori che fumava da sola/tutta infagottata in un gioccone blu/io le ho portato un bicchiere di vino/abbiamo fatto cin-cin con il bicchiere di plastica/poi le ho dato la mano e ho detto:/”Speriamo che l’anno prossimo/sia meglio dell’ultimo”./Lei fa: “Speriamo”.

Mi sono voltato, ho aperto la porta/e in quel momento/- ma ero troppo lontano, ormai -/mi è venuto in mente/che non le avevo dato il bacino./Orca, mi dispiace, ma cosa vuoi farci?/Ormai è andata, adesso non ho più la scusa/degli auguri, del buon anno, della situazione.

Ma insomma, è poi la stessa cosa./Sarà per il prossimo anno, io non ho fretta.

Tradusiaun: Giulia van Pelt

La raccomandata

La raccomandata

LA RACCOMANDATA

spedita, per quel che può servire, per debito di riconoscenza, a Raffaello Baldini

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Alùra, la questiù le quésta: sabet só rià a casa che l’èra mesdé pasà
e ‘n de la büsa de le létere gh’èra l’aviso di consegna de ‘na racumandada,
ghe l’èt presente, no, la cartulina şalda? Che se vèd che el pustì l’à sunà
magari aga dò o tre ólte, ma ‘l m’à mia catà e alura l’à lasà l’aviso,
gh’è ‘l nömer de la racumandada e gh’è scrit ch’i me la manda de Castiù;
ma cat, ormai l’è ‘n quart a n’ura, la posta l’è serada, dumà l’è dumenica
bisogn che spète lünedé matina per nà a töla.

Però, osti, chi è che me manda ‘na racumandada de Castiù?
Che roba saràla? ‘Na mülta l’è ‘mpusibil, perché la màchina l’è mia ‘ntestada a me
quindi no, perchè che gh’è prope el me nóm, nóm e cugnóm,
mia la màchina o ‘l muturì, me!, l’è cuma se i me ciamès de persona,
ma cat, fin a lünedé i g’à de spetà. Sì, ma però so me che spète,
lur, cioè, lur i m’à scrit e i è şa a pòst, e me quand leşe leşe,
però, ensóma, me dà fastide, me me piasarés saì ci è che me sirca de Castiù.
Bè, ‘nsóma, l’è mei che me méte el cör en pace che şa tant fin lünede pöde mia saìl
e gnà tirà a ‘nduinà.

Ostis, però, a Castiù gh’è el tribünàl, i m’arà mandà a ciamà per quèl che ó fàt?
Ma me? Me ó mai fat gnint a gnisü, ó mai robà, gnanca ‘n póm al mercà,
g’ó mai picià gnisü, ó semper fat el bigliét quand ó ciapà la curiera! Va bé, sé,
‘na ólta ó robà ‘n póm al mercà, ma gh’ìe dudes agn, me ciamarài mia adès?
Pó, ‘na racumandada per en póm? Val gnà la pena! S’i me dis quèl, pronti!,
ghe töle tre caşe de póm a chel là, semper se l’è amó vif! Ma sé, va’ là,
l’è ‘mpusibil ch’i m’abe ciamà del tribünàl, ‘gnimodo me cun la cusensa so a pòst,
quindi se aga i me ciama, me ó fat gnint, só tranquìl, te darè, i se sarà sbaiài.
Magari però, t’el sè, a le ólte, magari i me ciama per testimunià…
Osti! La sarés bèla! Testimone! Per cósa, só mia, i m’à mia dumandà gninte,
ma magari, t’el sè, cul mistér che fó, magari i pensa che g’abe vist quèl
alùra i me ciama, i me dis: «Siór Mari, lü al vist questo, chel’ater, ch’i fasia isé,
isé, indichi, dica!», però se g’ó de èser unèst, me ó vist gninte. Cat, però
se i me ciama e i me dumanda, pöde mia diga: «Visto niente, punto».
Bisogna che me envènte quèl, se no, cat, fó ‘na figüra ‘n pó isé, ensóma,
cusa öt che te dise, quèl disaró, te darè, magari stó ‘n pó ‘n söl vago
che öle mia daga la culpa a ‘n vargü, visto che comunque ó mia vist gnint e gnà gnisü…
Adés, al de là de töt, me g’ó gnà culpa gnà pecà, e che g’ó la cartulina de la racumandada
che quèl la g’à de èser, per forsa! Dai va’ là, dumà l’è dumenica
vó a véder el balù e ghe pènse mia, isé l’è praticamente şa lünedé, e sóm a pòst.

Óm perdì du a üno, vaca dì, che partidasa, lé se se dóm mia ‘na mòsa nóm a finì mal,
cioè, l’è mia che şügòm mal, ma però lenti, cuma se dis, prevedibili.
Dai, lasa stà, che só rabì che perdóm semper, vo a méter in urden i laùr de dumà.
‘Aca dighel, la cartulina!,
me sie desmentegà, dumà g’ó de nà ‘n posta a tö ‘sta cànchera de na racumandada,
vaca boia, dai, manca mia tant, i vèrs a le òt, adès i è quasi le set de sera,
cusa fa?, trèdes ure, dai, tégne bòta, pó fó ’na bela durmida e sóm şa a pòst.
Certo che, cusa saràla ‘sta racumandada de Castiù?
La sarà mia la scöla, che me só nà a scöla a Castiù?
Ma va’ là, i è pasà tanti agn, cusa g’arài de dìm?
Só mia, tipo: «Sior Mari, che, en del rümà, en del méter a pòst, óm catà
dei documenti che la riguardano», só mia, i temi, le pagelle, el diploma.
Sé, i è stài lé tanti agn, i pöl spetà amó dés ure, o no?
Arda te pó s’i g’à de fà stà mal üno per ‘na roba del gener! Te par ‘na roba…
che gh’è bisògn de la raccomandata? Osti!

Só mia bù de dormer.
Sèt cusa la sarà la racumandada? Só sicür che l’è l’uspedàl!
I g’arà de dàm endré de le carte de quand me só spacà el bràs, só mia,
i raggi, i referti, i documenti, töt, che i m’à dàt endré gninte.
I me dis: «Sior Mari, nuater g’óm che i raggi del su bràs, quand el g’à temp
el pase a töi sö». Bè, bè, bè, ma l’èra mia a sè ‘na telefunada?
G’ài de mandàm la racumandada? El me nömer i ghe l’à, cusa g’ai de mandàm la racumandada!
Töti soldi publici sprecài, vaca dighel, i g’à mia remisiù, cuma se fa!,
‘na racumandada per i raggi, ma vat a fà benedì!

Eco, gninte, adès vó ‘n posta, dai, vó sübit isé vardóm, el cafè el bèe dopo,
vaca dì, ó becà l’impiegada quéla pö pégra!, dai, agio!, sö!,
cusa ghe öl a catà föra la me racumandada, sö!, dai,
timbro, pam, firma, sö, vaca che scarabòcc che ó fàt, l’è che g’ó presia…
dai, documento!, aga quél, dai, pronti!, to’, cusa scrìet adès?,
speta che forse ghe tire a ‘éder la büsta de là del véder… sposta la mà, dai,
dai che lèşe… consorzio servizi… ma sboret! L’è ‘na fatüra de ‘n mistèr che ó fat di més fa,
ma dai, ma sö, gh’è bisogn de ‘na racumandada, de fà deentà mat üno per chela roba che?
Sö, dai, da’ chè, töta carta ch’i met en giro e la serf a ‘n’acidént, dai, caşo!, arrivederci, encület!

Che delüsiù, gninte en töt, arda, töta roba che cunta gnint.

Però, dai, ala fine só stà cuntènt, me só pasà vià chi du dé che,
perchè, só mia se só el primo che pensa ‘na roba del gener,
l’è mia la racumandada, ma la cartulina quela che, ensoma, l’è, cuma dì
un’emozione. Stà lè, girà la cartulina, pensà, spetà, i è momenti, so mia,
che l’è cuma se te föset sospeso, el mond se divìd en dò,
prima de la cartulina e dop la racumandada, che magari la pöl èser anca ‘na robasa,
però entant te te sè lé, come fra parentesi, cuma en sö ‘n punt,
cuma quand te dorme e te sogne töta nòt
ma te te ricorde mia cuma l’è nada a finì.

Adès, al sabet, se aga só a casa, ale dés de la matina, ale öndes,
che l’è l’ura che de solit vé ‘l pustì, me fó finta de mia èsega,
isé s’el g’à la racumandada el g’à de lasàm la cartulina,
e me g’ò de nà a tiràla en posta, e ghe vó al venerdé,
che, esendo che gh’è el mercà, gh’è pié de şènt,
e gh’è la cua di vècc ch’i stà lé a ciciarà e i va mia inàns
e me me mete semper endua gh’è l’impiegada
quela pö pegra.

Allora, la questione è questa: sabato sono arrivato a casa che era mezzogiorno passato/e nella buca delle lettere c’era l’avviso di consegna di una raccomandata/ce l’hai presente, no, la cartolina gialla? Che si vede che il postino ha suonato/magari anche due o tre volte, ma non mi ha trovato e allora ha lasciato l’avviso,/c’è il numero della raccomandata e c’è scritto che me la mandano da Castiglione;/ma d’altra parte, ormai manca un quarto all’una, la posta è chiusa, domani è domenica/bisogna che aspetti lunedì mattina per andare a prenderla.
Però, ostia, chi è che mi manda una raccomandata da Castiglione?/Che roba sarà? Una multa è impossibile, perchè la macchina non è intestata a me/quindi no, perché qua c’è proprio il mio nome, nome e cognome,/non la macchina o il motorino, io!, è come se mi chiamassero di persona,/ma tanto fino a lunedì devono aspettare. Sì, ma però sono io che aspetto,/loro, cioè, loro m’hanno scritto e sono già a posto, e io quando leggo leggo,/però, insomma, mi dà fastidio, mi piacerebbe sapere chi è che mi cerca da Castiglione./Bè, insomma, è meglio che mi metta il cuore in pace che tanto fino a lunedì non posso saperlo/e nemmeno tirare a indovinare.
Ostia, però, a Castiglione c’è il tribunale, non mi avranno mica mandato a chiamare per qualcosa che ho fatto?/Ma io? Ma io non ho mai fatto niente a nessuno, non ho mai rubato, neanche una mela al mercato,/non ho mai picchiato nessuno, ho sempre fatto il biglietto quando ho preso la corriera. Va bè, sì, una volta ho rubato una mela al mercato, ma avevo dodici anni, non mi chiameranno mica adesso?/Poi una raccomandata per una mela? Non vale neanche la pena! Se mi dicono qualcosa, pronti,/gliene compro una cassa di mele a quello lì, sempre che sia ancora vivo! Ma sì, va’ là,/ è impossibile che mi abbia chiamato il tribubale, ad ognimodo io con la coscienza sono a posto,/quindi se anche mi chiamano, io non ho fatto niente, sono tranquillo, vedrai, si saranno sbagliati./Magari però, sai, alle volte, magari mi chiamano per testimoniare…/Ostia! Sarebbe bella! Testimone! Per cosa, non so, non mi hanno domandato niente,/ma magari, col lavoro che faccio, magari pensano che abbia visto qualcosa/allora mi chiamano, mi dicono: «Signor Mari, lei ha visto questo, quest’altro, che faceva così,/così, indichi, dica!», però se devo essere onesto, io non ho visto niente. Bè, però/se mi chiamano e mi domandano, non posso dire: «Visto niente, punto»./Bisogna che mi inventi qualcosa, se no, accidenti, faccio una figura un po’ così, insomma,/cosa vuoi che ti dica, qualcosa dirò, vedrai, magari sto un po’ sul vago/che non voglio dare la colpa a qualcuno, visto che comunque non ho visto niente e nessuno…/Adesso, al di là di tutto, io non ho né colpa né peccato, e qui ho la cartolina della raccomandata/che qualcosa deve essere, per forza! Dai, va’ là, domani è domenica/vado a vedere il calcio e non ci penso, così praticamente è già lunedì, e siamo a posto.
Abbiamo perso due a uno, accidenti, che partitaccia, qui se non ci diamo una mossa andiamo a finire male,/cioè, non è che giochiamo male, ma però lenti, come si dice, prevedibili./Dai, lascia stare, che sono arrabbiato che perdiamo sempre, vado a mettere in ordine le cose di domani./Accidenti, la cartolina!,/mi ero dimenticato, domani devo andare in posta a prendere questa accidenti di una raccomandata,/vacca boia, dai, non manca molto, aprono alle otto, adesso sono quasi le sette di sera,/quanto fa?, tredici ore, dai, resisto, poi faccio una bella dormita e siamo a posto./Certo che, cosa sarà questa raccomandata da Castiglione?/Non sarà mica la scuola, che io sono andato a scuola a Castiglione?/Ma va’ là, sono passati tanti anni, cosa avranno da dirmi?/Non so, tipo: «Signor Mari, qua, nel rovistare, nel mettere a posto, abbiato trovato/dei documenti che la riguardano», non so, i temi, le pagelle, il diploma./Sì, sono stati lì tanti anni, possono aspettare ancora dieci ore, no?/Guarda te poi se c’è da far star male uno per una cosa del genere! Ti sembra una roba…/che c’è bisogno di una raccomandata? Ostia!
Non riesco a dormire./Sai cosa sarà la raccomandata? Sono sicuro che è l’ospedale!/Dovranno restituirmi delle carte di quando mi sono rotto il braccio, non so,/i raggi, i referti, i documenti, tutto, che non mi hanno restituito niente./Mi dicono: «Sior Mari, noi abbiamo qua i raggi del suo braccio, quando ha tempo/passi a prenderli». Bè, bè, bè, ma non bastava una telefonata?/Devono mandarmi la raccomandata? Il numero ce l’hanno, perché devono mandarmi la raccomandata!/Tutti soldi pubblici sprecati, accidenti, non hanno pietà, come si fa!,/una raccomandata per i raggi, ma va’ a farti benedire!
Ecco, niente, adesso vado in posta, dai, vado subito così guardiamo, il caffè lo bevo dopo,/accidenti, ho beccato l’impiegata quella più lenta!, dai, avanti!, su!,/quanto ci vuole a trovare la mia raccomandata, su!, dai,/timbro, pam, firma, su, acci che scarabocchio che ho fatto, è che ho fretta…/dai, documento!, anche quello, dai, pronti!, to’, cosa scrivi adesso?,/aspetta che forse riesco a vedere la busta di là dal vetro… sposta la mano, dai,/dai che leggo… consorzio servizi… ma vaffanculo! È una fattura di una cosa che ho fatto dei mesi fa,/ma dai, ma su, c’è bisogno di una raccomandata, di far diventare matto uno per questa roba?/Su dai, da’ qua, tutta carta che metto in giro e che non serve a un accidente, dai, cazzo!, arrivederci, vaffanculo!
Che delusione, niente in tutto, guarda, tutta roba che non serve a niente.
Però, dai, alla fine sono stato contento, mi sono distratto questi due giorni,/perché, non so se sono il primo che pensa una roba del genere,/non è la raccomandata, ma la cartolina che, insomma, è, come dire/un’emozione. Stare lì, girare la cartolina, pensare, aspettare, sono momenti, non so,/che è come se fossi sospeso, il mondo si divide in due,/prima della cartolina e dopo la raccomandata, che magari può essere anche una robaccia,/però intanto tu sei lì, come fra parentesi, come su un ponte,/come quando dormi e sogni tutta notte/ma non ti ricordi come è andata a finire.
Adesso, al sabato, se anche sono a casa, alle dieci della mattina, alle undici,/che è l’ora in cui di solito passa il postino, io faccio finta di non esserci,/così se ha la raccomandata deve lasciarmi la cartolina,/e io devo andare a ritirarla in posta, e ci vado al venerdì,/che, siccome c’è il mercato, c’è pieno di gente,/e c’è la coda dei vecchi che stanno lì a chiaccherare e non vanno avanti/e io mi metto sempre dove c’è l’impiegata/quella più lenta.

[2010]