Momenti di gloria
dal Voltapagina di Luglio 2011
Alle medie c’era educazione tecnica. Era una materia in cui si imparava un po’ di tutto, senza alcuna logica apparente. In tre anni ho imparato la proiezione ortogonale, a fare una casetta ripiegando del cartoncino, a intrecciare fili in qualunque maniera nonché il diabolico funzionamento di una camera oscura. Il mio professore mi sembrava vecchissimo. A dire il vero, a undici anni mi sembrava vecchissimo chiunque ne avesse più di ventidue. Ma il professore di tecnica mi sembrava più o meno coetaneo di mia bisnonna, che all’epoca andava per i novantacinque. Non so quanti anni avesse di preciso, ma di lì a poco andò in pensione e quindi qualche lustro l’aveva vissuto. Contribuiva moltissimo il suo nome, Eligio, che gli garantiva una quarantina d’anni in più.
Era buonissimo e affettuoso, passava gran parte della lezione a fare esercizi di stretching intrecciando le mani dietro la schiena mentre illustrava alla classe le mirabolanti virtù del seghetto alternativo. A me era molto simpatico, tolleravo persino la sua intransigenza sulle mie sbavature nel disegno tecnico e sulle mie dozzinali trame di tessuto. D’altronde ho sempre avuto la manualità di un babbuino e non era certo lui a farmene rendere conto.
Aveva anche un’intransigenza, verso cui provavo grande simpatia, che riguardava il giradischi orgogliosamente collocato in laboratorio per fornire un’adeguata colonna sonora alle nostre esercitazioni. La regola sulla playlist era di una semplicità al limite del banale: “Va bene tutto, purché non ci siano i tamburi”. Tamburi, nel suo vocabolario d’antan, voleva dire batteria. I timpani e le grancasse da orchestra classica erano tollerate, ma la batteria rock era l’anticristo: il professore non la poteva minimamente sopportare, in quanto simbolo di quel fracasso infernale che contraddistingue la musicaccia prodotta da Claudio Villa in poi. Vista l’età che gli davo, mi sembrava un’intolleranza scontata e, a momenti, giusta. Sussisteva però un problema di fondo: si era già da un pezzo nell’era dei CD e, qualora a qualche compagno fossero rimasti in casa dei dischi in vinile, era improbabile che in essi non ci fosse la batteria. La sua proposta di portare a scuola qualche bel disco cadde inesorabilmente nel vuoto.
Le esercitazioni di laboratorio, tutte, ebbero per tappeto musicale l’unico vinile rimasto in aula, la colonna sonora di “Momenti di gloria”. Con quel sottofondo così emotivamente intenso ogni proiezione ortogonale fu carica di slancio epico, degna di una medaglia d’oro olimpica, sospesa nell’atmosfera surreale del taglio del traguardo dei quattrocento metri piani.
La campanella ci suonava l’inno nazionale.